• Giorgio Morandi
Intervista a Giorgio Morandi per “The Voice of America”, incisa il 25 aprile 1957
“… Ritengo che esprimere ciò che è nella natura, cioè nel mondo visibile, è la cosa che maggiormente mi interessa. Il compito educativo possibile alle arti figurative ritengo sia, particolarmente nel tempo presente, quello di comunicare le immagini e i sentimenti che il mondo visibile suscita in noi. Ciò che noi vediamo ritengo sia creazione, invenzione dell’artista, qualora egli sia in capace di far cadere quei diaframmi, cioè quelle immagini convenzionali che si frappongono tra lui e le cose. Ricordava Galileo: il vero libro della filosofia, il libro della natura, è scritto in caratteri estranei al nostro alfabeto. Questi caratteri sono: triangoli, quadrati, cerchi, sfere, piramidi, coni ed altre figure geometriche.
Il pensiero galileiano lo sento vivo entro la mia antica convinzione che i sentimenti e le immagini suscitate dal mondo visibile, che è mondo formale, sono molto difficilmente esprimibili, o forse inesprimibili con le parole.
Sono infatti sentimenti che non hanno alcun rapporto o ne hanno uno molto indiretto con gli affetti e con gli interessi quotidiani, in quanto sono determinati appunto delle forma, dal colore, dallo spazio e dalla luce.
Sono lontano comunque dalla pretesa di voler stabilire norme all’operare dell’artista e di definire una poetica.
D. Che crede della pittura astratta?
R. La Pittura astratta ha dato opere importanti, se noi pensiamo, ad esempio, per fare un solo nome a Paul Klee … al primo cubismo … Braque … Picasso.
Per me non vi è nulla di astratto; però ritengo che non vi sia nulla di più surreale e nulla di più astratto del reale…”
domenica 29 novembre 2009
La costituzione dell'oggetto

Meditando sul processo creativo dell'artista, Brandi dice:
“… L’oggetto si costituisce allora alla fantasia, non come tale bottiglia polverosa, ma come ipotesi che riempie la coscienza, rende la coscienza a se stessa quasi tangibile e certo visibile: dove è già il trapasso dall’immagine mentale alla figurazione pittorica…”
Scritti d’arte contemporanei, Saggio, Cammino di Morandi, 1939/41
venerdì 27 novembre 2009

La Natura morta con quattro oggetti ben scanditi sul piano - oggetti di esplicito carattere geometrico e di affascinata impostazione metafisica nell'ardente monocromo che svaria dal bianco al bruno - è una delle rarissime opere su tavola dipinte dall'artista.
Stimata da tutti gli interpreti morandiani come uno dei suoi migliori esempi della poetica dei “Valori plastici", la Natura morta viene esposta a cura dell'artista stesso alla Quadriennale del 1939.
Commenta Brandi:
"...E come la lucidità esasperata e glaciale di prima (cioè dal momento metafisico) si poteva perfino dedurre dalla stesura senza grana del colore, liscio come una crema, ecco che, appena un anno dopo, mentre le usate, cognite forme degli oggetti riappaiono in una luce vacillante, la pasta del colore si ispessisce, si accumula in strati. Dalla gamma spenta, sottratta, rifioriscono toni più densi se non più brillanti. Restano i volumi isolati e partecipi, nelle loro superfici aderenti, momento ritmico deciso: sono, per così dire, le arsi sulle quali si fonda il ritmo e la successione dei vuoti, non meno misurati, non meno capaci dei pieni...".
Cammino di Morandi, 1939/41
Il periodo metafisico

Olio su tela, 80x65 cm.
Firmato e datato in basso a
sinistra “Morandi 1918”.
Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna e
Contemporanea.

“… periodo che pochi anni dopo segue a questi primi paesaggi e che anche per Morandi passa per Metafisico, per quanto fermamente distinti da De Chirico e da Carrà.Per lui il transito dai paesaggi alle nature morte era aperto infatti per disposto naturale: una scelta così stringata, un’elezione così ridotta e quasi critica, lenta tenace e dolorosa come un’introspezione, esigeva più che una cernita sul posto, un concentramento di sparsi motivi, una preordinata architettura. NASCEVA L’OGGETTO. Ma l’oggetto, lungi dal divenire enigmatico, o valere come componente astratta di una sciarada figurata, lasciava ancora percepire l’effrazione dal contesto naturale a cui appartiene, pur nel momento che, per la presentazione spoglia e irrelativa, si scolpa da qualsiasi ombra di intimismo borghese...non vi è neppure ricerca o ironia di un ordine naturale diverso, nato come dall’accozzo di forme astratte, in una collusione stranamente vitale: come spesso è in De Chirico e in Carrà […]. Ma in Morandi che assume il cilindro, l’ovoide, la sfera, le sagome da disegno e le riquadrature delle porte, come momentanei condensatori del suo potenziale interno, sicchè sembrano rappresentare un fortuito incontro, […] la costruzione di uno spazio omogeneo non è turbata […] Lo spazio di queste nature morte non è meno costruito mentalmente che in Paolo Uccello, ma la rigorosa concezione logica, che vi presiede, non rimane un’intelaiatura astratta; [...] Vi si riconosce il momento, lucido fino all’esasperazione, in cui l’intenzione plastica giunge a concretarsi…”
Cammino di Morandi 1939/41
Picasso e Paolo Uccello

“…E’ nella costruzione geometrica, scandita, in questo gioco di campiture , piatte come in una mappa catastale, e rigorosamente bilanciate nello specchio della cornice, quasi con l’archipenzolo, è in questa euritmia ridotta ad una simmetria arida che occorre vedere tanto l’affievolirsi, come in un’eco lontana, di Picasso, quanto il primo e difficile assorbimento dal nostro primo Quattrocento: lo spazio geometrico di Paolo Uccello ridotto alla forma della più elementare geometria, la geometria piana, ma in quella perfettamente concluso: e i volumi proposti e i colori dosati in stretta gerarchia…”
Cammino di Morandi, 1939/41
lo scolaro della natura
Dice Brandi nel saggio Cammino di Morandi, Scritti d’arte contemporanei, 1939/41
“…Il nostro Morandi che, come un antico si professa solo scolaro della Natura, potè a questo punto contemplare con tanta obbedienza i suoi diletti oggetti, non perché scolaro della Natura, ma perché era la sua fantasia che si vestiva di sostanza terrena…”
“…Il nostro Morandi che, come un antico si professa solo scolaro della Natura, potè a questo punto contemplare con tanta obbedienza i suoi diletti oggetti, non perché scolaro della Natura, ma perché era la sua fantasia che si vestiva di sostanza terrena…”
giovedì 26 novembre 2009
Cesare Brandi e Morandi

Cesare Brandi
"…Io ho avuto ed ho la fortuna di conoscere grandi artisti,
e dall'esperienza del loro fare ho tratto più che dai libri
di estetica, ma da nessuno ho appreso una lezione
così pura e limpida come da Morandi…"
Chi è Cesare Brandi
Cesare Brandi, (Siena 1906-1987), è critico e storico dell’arte italiano. Tra i suoi lavori spiccano le opere dedicate a questioni di pittura italiana (La pittura riminese del Trecento, 1935), in particolare d’area senese (Quattrocentisti senesi, 1949). Ha Curato il catalogo scientifico della Pinacoteca di Siena (1933) e ha pubblicato fondamentali monografie su artisti antichi (Giovanni di Paolo, 1947; Duccio, 1951) e moderni, sia italiani, come Burri, Morandi e Manzù, sia stranieri, quali Gauguin e Picasso.
Cesare Brandi si è dedicato, anche, alle problematiche legate all’architettura, con i saggi Struttura e architettura (1967) e La prima architettura barocca (1972).
Le sue posizioni teoriche riguardo al rapporto tra conoscenza e creazione artistica e sulla struttura dell’opera d’arte, sono state espresse sistematicamente nei lavori Segno e immagine (1960), Le due vie (1966) e Teoria generale della critica (1974).
Nel 1939 è stato tra i fondatori dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma, che ha diretto sino al 1960, e del “Bollettino” pubblicato dall’ente (dal 1951); illuminanti riflessioni su quest’attività di conservazione e recupero delle opere d’arte si trovano nel suo fondamentale saggio Teoria del restauro, uscito nel 1963.
Brandi e la meditazione sull’opera di Morandi, storia di una critica
Il pensiero critico di Brandi è un progresso intellettuale costantemente in fieri, arricchito dalla conoscenza personale del più anziano Morandi. Un profondo legame di amicizia sempre rinverdito dalla frequentazione diretta e dalle lettere che i due grandi intellettuali si sono scambiati nel corso di trenta anni.
Morandi è stato un personaggi spesso frainteso e non perfettamente compreso dalla critica artistica a lui contemporanea, lo si è voluto riconoscere in una tematica - è stato definito “il pittore delle bottiglie” – ma la sua analisi della realtà è andata ben oltre le semplici apparenze; il mondo delle “povere cose” era per lui una finestra dalla quale librarsi per esprimere ciò che il mondo gli narrava.
Brandi ha compreso prima di tutti questo - la portata universale della ricerca morandiana racchiusa in quel linguaggio fatto di oggetti umili e spesso minimamente variati- e ha raccontato la storia del suo viaggio, il suo lungo cammino per citare Longhi, in alcuni fondamentali saggi.
Dice Marilena Pasquali nella prefazione al carteggio Morandi/Brandi:
“..L’artista trova nel critico più giovane – 16 anni li separano – una sorta di alter ego che condivide la sua impostazione di pensiero ed è in grado, da maestro, di tradurre in parole le sue immagini o , meglio, di affiancare un raffinatissimo linguaggio verbale a quello visivo, altrettanto raffinato e complesso.”
Il primo saggio del 1942 nasce dal desiderio di “fare aria e luce intorno al suo nome[…] rivelare la novità che significava, la selezione di cultura che individuava […] far capire che non era né lo strascico del futurismo né il decotto della pittura francese; dichiararne infine l’italianità, come definizione critica di un fatto storico, e non come una sdrucciolevole piaggeria nazionalistica.”
Segue la pubblicazione del “Carmine o della pittura”, importante scritto brandiano sulla problematica estetica, per il quale il saggio su Morandi è stato un punto di partenza: la definizione teorica del pensiero di Brandi segue la riflessione pratica sulle opere d’arte (lo storico ha detto “Io ho avuto ed ho la fortuna di conoscere grandi artisti, e dall’esperienza del loro fare ho tratto più che dai libri di estetica, ma da nessuno ho appreso una lezione così pura e limpida come da Morandi..”).
Sullo studio di Morandi nascono concetti cardine fondamentali in Brandi come la “ costituzione di oggetto” o il “colore di posizione”.
In teoria generale della critica del 1947 scrive:
“…Una bottiglia vuota e polverosa, come nel caso di Morandi, viene isolata e proposta in un altro contesto, in cui non è d’uso, in cui anzi c’è straniamento dall’uso: valgono solo relazioni cromatiche, luminose, plastiche. La bottiglia resta bottiglia […] ma folgorata, inutilizzata, che è quanto dire neutralizzata, sospesa dalla sua utensilità e quindi dal significato che vi corrisponde…”
La seconda edizione è edita nel 1952 e Brandi, nel Poscritto, riconosce di aver esemplificato il “colore di posizione” proprio nella pittura di Morandi. Brandi coglie l’occasione anche per riflettere brevemente sulla condizione italiana del dopoguerra e sulla pittura italiana; il Poscritto all’opera ospita la celebre e tanto criticata definizione “per noi arte si ha solo se ci si indirizza all’arte come forma e non come vita…” e la stroncatura del futurismo, letto come “ attardato moto romantico”.
La riflessione sull’amico continuerà in più occasioni.
Dopo la morte del pittore, Brandi in occasione della grande Mostra Retrospettiva tenuta a Bologna nel 1966 scrive il saggio “Morandi a breve distanza”. E’ un momento di riflessione sull’opera globale dell’amico e cercare di precisarne alcuni caratteri fondamentali.
il periodo cubista

“… avveniva in questi anni, trascorso il periodo germinante del Cubismo analitico, la cosciente presa di possesso di un materiale espressivo, che dall’accorta, sottilissima, vivisezione dei solidi ricuperava incidenze formali inascoltate e impreviste[…]. Le forme stesse degli oggetti – così in un precipitato il liquido uniforme si disgiunge rinserrandosi in cristalli distaccati e aggregati l’un sull’altro – si affiancavano nel 1914, taglienti ed erette simili a lame di clteli, e creavano crepe ottili, distacchi di vuoti minimi, saldati nei contorni. Non vi era dispersione, non residuo: l’occupazione della tela era già totale…”
Cesare Brandi,Cammino di Morandi, 1939/41
mercoledì 25 novembre 2009
“…cielo vasto di solitudine senza approdi…”

La prima volta che ho guardato questo quadro sono rimasta indifferente, poi ho letto le parole di Brandi....
“…una piccola tela, nella quale il pittore, ventunenne appena, fermava in pochi segni densi, raggrumati, la visione, non idillica, non accogliente, di un paese, la cui linea d'orizzonte, improvvisamente tumefatta, come un'onda che sta per frangersi, sbatteva contro un cielo vasto di solitudine senza approdi, mentre pochi arbusti, quatti e butterati presso capanne cieche, consegnavano una stessa accorata, irraggiungibile lontananza…”
“A guardare quel primo fatidico paesaggino del 1911, ancora si resta colpiti dalla sua pregnanza e dalla sua mancanza di codice. Contiene infatti, come un embrione, tutte le componenti strutturali della pittura successiva di Morandi, ma pressocchè inespresse, appunto perché Morandi non disponeva ancora di un codice in cui esprimerle. C’è la risoluzione dell’oggetto in masse semplici, la riduzione del colore quasi al monocromo, il filtraggio d’una luce che si diffonde senza annullare la sorgente…”
...ho riguardato il quadro e ne sono rimasta rapita!
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